28 Agosto, ore 20:30
Piazza F. Torre
Presentazione “’Nu Piezzo ‘e vita” di Ottavia Fusco Squitieri – Editore: Santelli

Prefazione

Questa originalissima memoria che Ottavia Fusco ha scritto su Pasquale Squitieri è un vocabolario dell’amore. E un vivissimo album di famiglia fra tragedia e umorismo, e soprattutto un madrigale. Come i poeti stilnovisti cantano la donna angelicata, togliendole i connotati umani per trasformarla in uno spirito guida, così Ottavia attraverso Pasquale inventa l’Uomo Angelicato.

Angelicato? Ma chi? Pasquale, l’uomo temuto geniale e tremendo, il regista con la pistola, il polemista spietato, il guappo teatrale, il maestro della provocazione e del paradosso, che osò dire in televisione “Di Pietro dovrebbe essere eliminato fisicamente”? Proprio lui. Ma qui ce n’è un altro, il Pasquale di Ottavia, amoroso, lieto, sapiente, che si interessa di teologia e delle piccole cose, e se trova l’amore sa riconoscerlo, e non lo lascia più. Quando Pasquale incontra Ottavia è in guerra col mondo (e lo resterà sempre), ma insieme trovano la gioia dell’incommensurabile privato. Ottavia è una solenne Minerva che sa ridere, un forte e dolce e spericolato compagno di giochi e d’avventura. Pasquale Squitieri è qui il Pasquale di Ottavia, un uomo dalle innumerevoli sfumature, insidiose, affascinanti.

Un uomo che si forma nell’assoluto di un sodalizio senza trucchi. Chi prende la scena è sempre lui. Tutto ruota attorno a Pasquale in questo scritto, è sempre al centro, con i suoi scherzi, i capricci, le impennate, l’audacia delle idee per un cinema di rottura, e per una vita spericolata, come Steve McQueen. Scrivendo Ottavia si tiene in secondo piano, scoprendo ogni tanto con discrezione un

tratto del suo carattere e della sua arte raffinata.

Questo Pasquale, a tratti di una simpatia irresistibile, è il Pasquale visto da Ottavia. Lui è l’uragano, l’impeto, la forza selvaggia, lei la maestosa forza della quiete, attraverso la quale l’orgoglioso, il despota teatrale conosce la gioia di fidarsi  dell’altro. È uno Squitieri capace di semplicità e profondità, intrepido e furioso davanti alla vita e alla morte. Dolente Orfeo, con questo libro Ottavia trae Pasquale dagli inferi.

Barbara Alberti

Scrittrice e giornalista

Introduzione

Prendete un uomo, una donna, anche senza Lelouch. Prendeteli diversi, assurdi, folli nel rimbalzo come la palla magica della nostra infanzia. Lei piemontese, lui borbonico con brigantaggio incorporato. Lei altissima, magrissima e con una nuvola dove rifugia sempre la testa che la tiene a distanza dalle cose del mondo, lui immerso nel mondo fino al collo per la voglia di poterlo raccontare, descrivere, capovolgere. Lei mangia solo a cena, lui solo a pranzo. Lei alla ricerca di se stessa attraverso gli altri, lui alla ricerca degli altri attraverso se stesso.

Prendeteli e metteteli insieme. Novantanove volte avrete tuoni e fulmini, spade sguainate o indifferenza acuta, impossibilità totale di far crescere qualcosa, foss’anche solo erba da giardino. Poi, c’è quella volta. Quella volta lì, la centesima. Quella che fa eccezione, perché l’eccezione c’è sempre. Mettete insieme il giorno e la notte e avrete l’alba dentro l’imbrunire. Mettete insieme Ottavia Fusco e Pasquale Squitieri, mescolate le differenze dentro un cappello da prestigiatore, estraete a caso e avrete una poesia dadaista, la più bella e assurda che si possa immaginare.

Certo, anche qui ci sono i tuoni e i fulmini, ma voi conoscete storie d’amore che siano solo cielo sereno?

Conosco Ottavia da quando eravamo ragazzi e ad Asti c’erano poche macchine e giorni che sembravano poesie, come quando pioveva a dirotto, alla fine smetteva e tu salivi verso Viatosto e la strada si riempiva di rane uscite dai fossi. Poi Ottavia si è spostata a Roma, ha inseguito i suoi sogni senza dimenticare mai che la bellezza è nel cammino, non nella meta. Pasquale l’ho conosciuto dopo, grazie a lei.

Era ruvido e ostico, ma anche pronto alla burla. Un intellettuale atipico perché uomo di lettere fuori, ma bambino dentro. Ci si vedeva spesso al Casaletto, il ristorante sulla Flaminia dove è ambientato uno degli incontri più esilaranti del libro, quello tra Ottavia e Claudia Cardinale, così surrealista che persino Salvador Dalì si sarebbe profuso in un inchino. Pasquale ordinava, sorrideva, mi studiava. Poi, con meravigliosa e finta casualità, introduceva un argomento, chiedendo il mio parere. Ascoltava con attenzione, continuando a sorridere, quindi creava puntualmente una sospensione del tempo, un perfetto tempo teatrale. Beveva un bicchiere, mangiava qualche boccone, accennava distrattamente a qualcosa che stava succedendo nel locale. Poi mi guardava e diceva: “Non sono d’accordo”. E cominciava a confutare la mia tesi. Chiara, mia moglie, e Ottavia, sapevano perfettamente che saremmo andati avanti a discutere per tutto il pranzo, a volte coinvolgendole, altre volte no. In certi passaggi, mi dava ragione, si concedeva un’altra pausa teatrale, poi, quando il discorso sembrava finito, riprendeva: “Hai ragione, però…”.

E ripartiva in direzione ostinata e contraria.

Pasquale Squitieri era come Fabrizio De André: amava il ping-pong dialettico, guardava il punto di vista degli altri come fosse una pallina e rispondeva colpo su colpo, a volte imprimendo effetti strani, coraggiosi, azzardati. Non era interessato a parlare con persone che la pensassero come lui. Quando succedeva, si annoiava. Guai a dargli ragione.

In quel caso, introduceva immediatamente un altro argomento. Pasquale voleva discutere cercando di tirar fuori tutti i punti di vista, per questo aveva bisogno di qualcuno che non la pensasse come lui. Ho sempre avuto un sospetto, anzi, una certezza: sono sicuro che, per partito preso, lui dicesse di non essere mai d’accordo con me. Se io avessi esordito, paradossalmente, con un punto di vista che lui condivideva appieno, lo avrebbe comunque confutato. Per lui, discutere e anche al limite litigare era vivere, fortissimamente, fottutissimamente vivere. C’è un passaggio doloroso e toccante di questo libro bellissimo dove Ottavia afferma che Pasquale ha abbandonato le provocazioni e mostrato vulnerabilità solo quando ha capito che l’inverno era davvero troppo vicino. Fino ad allora ha preso la vita come il gioco più serio del mondo.

Mi sono molto divertito con lui, che ho sempre sentito lontano su certi argomenti, ma vicinissimo in altri: l’importanza del vino bianco gelato, la bellezza del fare l’amore o del fare sesso in modo non convenzionale, la necessità di stare al caldo (la casa di Ottavia e Pasquale era un forno a microonde sempre acceso o, come dice lei nel libro, la riproduzione di un microclima tropicale), la differenza tra vivere e sopravvivere, la fortuna di poter avere tante vite, l’intelligenza di cercarle.

Certo, l’abbiamo detto, era un uomo per niente facile, o quanto meno poco allineato. Certo, vivere con lui era come “imparare a guidare a Napoli”.

Certo, alcune volte l’avresti crocifisso in sala mensa come Fantozzi.

Certo, però era Pasquale Squitieri. Era prendere o lasciare. Montagne russe, non trenino.

In questo libro, dove Ottavia cambia spesso registro passando dal divertire al commuovere andata e ritorno, c’è lo Squitieri che ho conosciuto e quello che non ho mai immaginato. Si legge in fretta, ma ci si torna sopra tante volte, perché dietro ogni storia c’è sempre un nascondiglio dove riporre i pensieri. Non è un’autobiografia (lui in qualche modo c’è ancora, ma si è limitato a correggere le bozze dal piano di sopra), non è una biografia classica (non ne segue le liturgie), forse non è nemmeno un libro. Forse è solamente, semplicemente, meravigliosamente una storia d’amore.

Massimo Cotto

Giornalista, disc jockey e scrittore